VER 002

Nell’alba della mia vita un lampo

squarciò il buio della mia anima.
Il tuono, tremendo, della tua voce
la squassò. Un amore più grande,
nel mio cuore sorse, e tu, mio unico
amore umano, sei stato scacciato
dalla mia anima, dal mio cuore
desideroso, da allora, solo dell’Immenso.

Ho abbandonato il mio nome,
ho rasato i capelli che tanto ammiravi,
ho abbandonato te e il mondo intero.
Senza rimpianto ho voltato le spalle
e contro corrente ho iniziato il viaggio.
Mi han’ dichiarata morta e nella mia cella
mi sono seppellita ancor vivente.
Ho negato al corpo il cibo, lesinato l’acqua,
il mio pane l’ho condito solo con la sapienza.
Non mi sono più specchiata,
se non quando il viso si è riflesso
nelle acque del ruscello, o in quelle
circoscritte del secchio, se dovevo
attingere per bere o cucinare.
Ho estirpato la vanità, spento il desiderio.
Il desiderio di te che, in segreto,
nel fondo oscuro dell’anima perdurava,
che ostinatamente resisteva, che incurante
della mia castità mi assediava,
che infinite volte mi ha soggiogato e vinta
prima che l’età, non la saggezza,
non la rinuncia spegnesse
gli ardori del corpo e, di conseguenza
quelli della mia mente golosa.
Nello spazio, infinito, del mio piccolo cuore
a nulla ho permesso di abitare,
desiderosa solo che vi albergasse
il mio adorato sposo celeste.
Ho vegliato a lungo, in trepida attesa
del suo ritorno, temebonda che
addormentata mi trovasse ad attenderlo
e, sdegnoso, disgustato dalla mia ignavia,
se ne tornasse nel suo palazzo,
alle cui porte, in gioventù,
ho con ostinazione bussato.
Un sentiero innevato la mia vita.
Ogni giorno l’ho percorso in silenzio,
nel nascondimento, fuggendo al mondo,
cercando rifugio nella chiesetta eretta
sulla cima di questo mio, orgoglioso,
esclusivo amore per Te, mio Dio,
mio signore, mio dolce Amore.
Un susseguirsi ininterrotto
di albe e tramonti, sempre identici
eppure sempre diversi, illuminati
da una presenza silente in cui
trovavo pace, ristoro dalle fatiche
gioia, compiutezza beatitudine.
Varcata la soglia della vecchiezza,
scoprendo il corpo diventato fragile,
mutato il corvino dei miei capelli
in candida neve, la pelle come
campo appena arato.
Nel silenzio della mia cella,
nella penombra in cui vivo,
reclusa, persa per il mondo,
ho compreso che il mio amore,
per Te non era inconciliabile
con il mio unico, terreno amore
di bambina, che Tu, Signore,
non sei un padrone geloso.
Ma gelosa padrona della mia virtù,
della mia castità sono io stata.
Nel silenzio e nella solitudine,
nel tramonto di questo transito
ho imparato ad amare senza
l’ombra oscura del desiderio.
24/08/2012
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